Stravolgendo il canone: bellezza e decadenza nei corpi di Ivano Parolini

Il tema della figurazione femminile per Ivano Parolini diventa motivo di dialogo. L’artista non si limita a descriverci un volto o un corpo: bensì reinventa un ideale di bellezza, un canone. E’ una pittura dalla forza bruta, che dialoga con la ricercatezza dei toni e la delicatezza di esili figure femminili, dalle pose plastiche, quasi scultoree, ma allo stesso tempo dinamiche. A volte in coppia, spesso da sole, le sue giovani donne emanano un aura di dolce spleen, attraverso una rilettura della loro bellezza originale. Le opere di Ivano Parolini sono potenti e delicate insieme: fiori del male velenosi dal profumo dolce e invitante. Conosciamo un po’ meglio questo giovane artista bergamasco.

 Ivano, i tuoi lavori suggeriscono un rimando all’idea della “cancellazione”, tematica cara all’arte contemporanea. Chi sono i tuoi maestri spirituali?

Nel mio percorso artistico, fino ad ora, si sono succeduti diversi maestri spirituali. Se penso alla mia infanzia, ricordo quando, nel periodo nel quale frequentavo le scuole elementari, mi venne regalato un libro su Van Gogh: rimasi molto colpito dalla sua pittura suggestiva, ma anche dalla profondità delle lettere che scriveva al fratello. In quelle parole così vere e autentiche mi era possibile “percepire” la sua ricerca, convinta e appassionata dedizione, che lo ha caratterizzato per tutta la vita. Ora, da adulto, credo che i miei maestri spirituali siano essenzialmente Bacon, per la forte espressività interiore che permea le sue opere, Basquiat, per il dinamico uso del colore, che associa nei toni in modo a mio avviso sorprendente ed Emilio Vedova, per la potenza del segno che lo caratterizza.
 Chi ammiri tra i contemporanei?

Sono molteplici gli artisti contemporanei che ammiro, ma vorrei soffermarmi in particolar modo su Adrian Ghenie: benché la mia ricerca artistica sia diversa dalla sua, guardando i suoi dipinti mi trovo in sintonia con la sua sensibilità ed espressività artistica. Nell’ultimo periodo, inoltre, ammiro anche i lavori di Anish Kapoor e Claudio Parmiggiani con le loro installazioni. Io stesso, ultimamente trovo molto interessante l’intervento temporaneo(site-specific): attraverso performance e installazioni mi è possibile unire diversi linguaggi per comunicare un pensiero complesso e farlo arrivare al pubblico sotto diverse forme espressive.

Le tue figure a volte sembrano modelle di decadenti servizi fotografici. Che rapporto c’è tra il glamour e i tuoi dipinti?

In molte opere ho effettivamente interpretato le immagini pubblicitarie di note riviste di moda. In queste rappresentazioni colpisce, perché così deve essere, la centralità di ciò che è esteriore: dalla posizione e l’espressione del soggetto, alla costruzione del set fotografico, all’arredamento usato e ai colori che predominano… Ebbene, nei miei dipinti stravolgo questi canoni espressivi, comunicando un altro tipo di glamour, più introspettivo, che richiami qualcosa che va al di là dell’esteriore, intrecciandosi con storie di vita vera, reale.

 Cosa rappresenta per te il corpo?

Il corpo è un mezzo di grande potenza: osservando i corpi fotografati delle immagini pubblicitarie, la loro posizione, gli sguardi, l’accostamento cromatico con lo sfondo, scaturisce una sorta di empatia, di “dialogo muto” che trova la sua espressività nel gesto pittorico. Credo che in fondo si tratti di un dialogo con la parte più nascosta di me stesso, con quella parte che affiora solo con la pittura.

 Come è iniziata la tua carriera d’artista? 

Ho sempre sentito, fin da piccolo, la necessità di trovare un modo per esprimere quello che sentivo dentro. Verso circa gli undici anni ricordo che rimasi molto colpito nel vedere il quadro di Gauguin (“Da dove veniamo ?, chi siamo ?, dove andiamo?”), e in quest’opera trovai molti parallelismi con le mie domande e inquietudini del periodo adolescenziale. Ho capito molto presto che la pittura era un ottimo strumento per poter esprimere il mio mondo interiore…

I tuoi personaggi sembrano non interagire quasi mai con il contesto attorno a loro. E’ una scelta data per centrare l’attenzione sul soggetto?

In effetti è vero: molto spesso il contesto viene cancellato, perché ciò che per me è importante è il dialogo costante del soggetto con il colore e il segno. Si tratta di un dialogo sottile e intenso. Altre volte accade che il contesto opprima il soggetto: ecco allora che entra dentro di essa, annientandola. Altre volte ancora, poiché percepisco un certo “attrito”, allora sì, annullo tutto ciò che sta attorno e creo un mondo surreale, nel quale la figura possa sentirsi a proprio agio.

Qual è la cosa che ti riesce meglio e quella che riesce peggio?

Riesco a trasmettere e ad esternare ciò che sento attraverso la pittura e la performance. Se un giorno non me la sento di dipingere non lo faccio, evito le forzature. Se però capita di doverlo fare per forza (come nel caso di una performance già programmata), allora cerco il vuoto dentro di me e cancello tutto quello che mi sta attorno. La cosa che mi riesce peggio è tenere ordinate le mie cose e il mio studio ne è la prova!

Come mai scegli di ambientare le tue opere “indoor” e mai in esterni?

I soggetti che dipingo vengono tratti da immagini pubblicitarie che, è vero, sono per lo più fotografati indoor. Attribuisco a questo, però, anche una valenza simbolica: è come se il soggetto fosse inglobato dentro qualcosa d’altro, una stanza, un involucro, un altro sé… In effetti però, ho realizzato anche altri lavori ambientati in esterno. Tra questi uno è “Parigi”, ispirato ai tragici attentati di Novembre 2015: in questo caso il soggetto viene invaso e dilaniato dall’esterno, dal contesto, che personifica il terrorismo.

 

 Qual è la tua definizione di Bellezza?

La bellezza è fare qualsiasi cosa, ma in sintonia con essa. L’ho già detto: non amo le forzature e le rigidità, ma credo fortemente nella sintonia e nella relazione armonica con ciò che ci circonda. Quindi bellezza è già guardare, contemplare, compiere un’azione, un gesto…e questa bellezza la si può trovare ovunque.

Raccontaci di un ricordo a cui sei particolarmente legato .

 Il ricordo a cui sono più legato è in realtà abbastanza inquietante, in quanto, potenzialmente, poteva essere drammatico. Avevo circa due anni e, anche in base ai racconti più dettagliati di mia madre, posso dire di essere stato sfiorato dalla morte. A causa di un attacco di pianto ho smesso di respirare e il mio colorito, da cianotico, è arrivato al bluastro. Mia madre, urlando, mi prese in braccio e, scendendo le scale di corsa, gridava che ero morto. Ricordo le sue grida, il buio, e la presenza di persone attorno a me. Poco dopo ripresi a respirare autonomamente. Non conosco il motivo, ma questo ricordo lo conservo gelosamente e spesso, mi ritrovo a pensarci.

Cosa ti piace fare, oltre a dipingere? Quali sono tre cose indispensabili per un artista secondo te? 

Oltre a dipingere mi piace fare apnea. Mi è capitato di andare a Hurgada, in una baia nella quale spesso arrivava il Dugongo, un grosso cetaceo lungo alcuni metri. Prima dell’alba, ogni mattina, andavo in mare con la speranza di vederlo, ma non ebbi mai questa fortuna. Mi capitò invece di ammirare delle grosse tartarughe marine e nuotai per un certo tempo accanto a loro, stupito e ammirato per la loro bellezza. Amo anche correre e camminare in montagna: lo sforzo fisico, ad un certo punto, aiuta molto la meditazione. Le tre cose indispensabili per un artista, secondo me, sono: sognare (è l’arma più forte contro certi aspetti della realtà), la curiosità di andare oltre per scoprire ciò che è nascosto anche agli occhi e, infine, credere nella propria visione e portarla avanti fino in fondo.

Quali sono le prossime mostre/eventi che hai in programma? Su cosa stai lavorando al momento?

Al momento sto lavorando ad un progetto artistico che coinvolge diverse arti. Il focus centrale è quello del viaggio delle anime dopo la morte, con approcci e interpretazioni diverse: dal cristianesimo al paganesimo.