Tra ordine e caos: intervista ad Antonio Murgia

Grande figurativista, Antonio Murgia è un artista diretto come la sua pittura. Una pittura immediata e potente, dalle tinte forti e dal gesto poliedrico. Abbiamo il piacere di ospitare le sue opere in galleria da quest’estate: con l’ultimo nostro incontro si è creata l’occasione per scambiare qualche parola e toccare diversi argomenti interessanti. Buona lettura!

– Antonio, seguendo la tua produzione da diverso tempo sembra che tu nasca come pop-artist, mentre negli ultimi anni ho notato uno spostamento verso un figurativo ritrattistico dal forte impatto emozionale. Ci racconti qualcosa a riguardo?

– A modo suo, sempre di Pop Art si tratta. O meglio, vi sono delle specifiche per far rientrare la mia pittura  anche in ambito Pop, magari derivativa. Esempio: le modelle che scelgo provengono quasi sempre da internet, cioè il veicolo che più di tutti incarna oggi una sorta di inconscio collettivo popolare. Manca solo l’effetto “popolarità”. Oppure inserisco, a mo’ di collage oggetti, immagini, carte di derivazione popolare di uso altamente comune. O ancora la tavolozza dal forte impatto cromatico, esagerato sovente, che, oltre che dalla predominante richiesta emozionale, sempre ad un immaginario effettistico popolare si rifà. Cioè, colori non come tavolozza personale (che poi comunque lo è), bensì anche come richiamo di un’esagerazione Pop. Non sento inoltre l’esigenza di lavare le mutande interiori in pubblico, come certa Arte ama fare. Anche questa è attitudine Pop.

Non amo “scavare” fra le pieghe del Sé (come invece altamente in uso in certe fazioni dell’Arte), primo perché forse un Sé non c’è. E già solo sapendo questo, si metterebbe fine a molte questioni artistiche. Secondo perché so per esperienza che scavare senza conoscere mezzi e finalità dello scavare, non rimane altro che scavare scavare scavare scavare scavare scavare senza giungere da alcuna reale parte. Rimane solo il senso di appartenenza allo scavare. Io non scavo. Fornisco solo piccoli attrezzi per far emergere.

Che rapporto hai con la tua terra di origine, la Sardegna? 

– Ci sono nato. Ci sono ritor-nato. Per motivi affettivi personali. Ma in certo qual modo mi ha portato ad una ri-nascita. Nel bene e nel male, ritornare mi ha fatto vedere alcune caratteristiche di sardità che non pensavo fossero caratteristiche di regione bensì personali; ed invece… Attrazione-repulsione rende?

– Negli ultimi anni sembra che l’arte figurativa stia, a livello di mercato, trovando una “rimonta” rispetto  all’astratto. Qual è il tuo rapporto con l’informale? E’ possibile far convivere i due generi in una produzione pittorica unica?

– Considerato che i miei quadri sono il risultato di un incastro di sezioni di pittura astratta fino a ricomporre la visione figurativa, almeno dal mio punto operativo la risposta è data. Se ammettiamo, mica tanto casualmente, che l’astratto lo possiamo paragonare al femminile e il figurativo al maschile, va da sé che la società stessa si palleggia fra momenti femminei e momenti mascolini. Quindi, in certi momenti e/o situazioni siamo comprensivi, in altri siamo reattivi, poco disposti ad accondiscendere. Il mercato si comporta allo stesso modo. In certi periodi vince la via dell’astrazione, dell’emozione; altre volte vince la via della concretezza della visione di sé. Altre volte ancora le due anime vanno a braccetto. Non è certo solo una questione di mercato (ancorché manovrato), bensì di normale fluttuazione di gusti (ancorché eterodiretti). In realtà, vi sono moltissimi artisti, in tutto il mondo, che stanno praticando la via di fusione fra figurativo e astratto. Chi parte da un’aspetto di destrutturazione della figura, chi fa il percorso inverso (come nel mio “OROS Project”), altri tentano la via della coesistenza, più o meno forzosa o armonica (come nella mia nuova serie “Juxtaposition”).

 Chi sono i tuoi padri spirituali? Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato?

– Tanti e nessuno in particolare. Padri non ce ne sono, ma patrigni tanti. Essendo in continua mutazione, rubo un po’ a destra e un po’ a manca.

Hai all’attivo diverse esibizioni in Oriente (Shanghai, Pechino): che tipo di sensibilità ha il mercato d’arte orientale contemporaneo? Rispetto all’ Europa?

– Esibizioni tante, rimasto quasi niente. I cinesi sono nazionalisti e neo ricchi: se non appartieni alla lista dei super-artisti, da te vogliono quasi niente. Però i complimenti li sprecano. Su certe cose (ancora per poco) fanno quasi tenerezza, per quanto sono”virginali”. Su altre, ci hanno superato a tale velocità che non ho idea di quando solo tenderemo a pensare di riprenderli. Terra e mentalità di grandi contraddizioni, almeno rispetto al nostro modo di concepire. Un’altra forma di “America”.

Che consiglio ti sentiresti di dare a un giovane che si avvicina al mondo dell’arte per intraprendere la carriera d’artista?

– Ahiiaa. La stessa che si è data nei secoli. Il mondo non ti aspetta; non aspetta il tuo “genio”; non aspetta le tue turbe. Te ne sei accorto? Bene. Perché se non te ne sei accorto, son cavoli tuoi. Penserai sempre che che il mondo non è adatto per te, non ti comprende ecc… Appena ti riesce, riduci le masturbazioni mentali al minimo e concentrati su chi sei, non su chi vorresti essere o come dovrebbe essere (in quel momento hai già fatto un enorme passo avanti), e le cose avverranno quasi naturalmente, senza troppi sforzi. Se invece senti che diventerai un grande artista… Auguri.

Qual è il ricordo nella tua carriera di artista al quale sei maggiormente legato?

– Tendenzialmente rimango legato al periodo che sto vivendo. Per cui, per ora è l’adesso. Presumibilmente, per domani potrà essere domani.

C’è un’opera storica che avresti voluto fare tu? C’è un periodo della storia dell’arte che ti piace particolarmente, che senti più vicino alla tua sensibilità?

– Per le opere (sono molte quelle che avrei voluto fare, anzi tantissime, forse un’infinità) quante pagine mi dai a disposizione? Per il periodo: tutto, o quasi, ciò che intercorre fra le pitture delle caverne e tante di quelle cose che stanno avvenendo ora, a prescindere da civiltà e cultura. Non è detto che mi debba piacere necessariamente il ’prodotto’. Ma lo spirito che lo incarna certamente sì. Ogni periodo, anche il più disastrato o derivato, possiede una sua peculiarità, una sua necessità d’esistenza. Vi sono stati dei periodi di maggiore impatto culturale (e li conosciamo tutti), ma questo è relativo alla società che ha albergato tale periodo. Tanto più è ricca e tanto più avrà avuto modo di influenzare altre società. Ma questo non vuol dire che le culture cosiddette “inferiori” non abbiano prodotto arte e cultura di qualità notevole. Forse mi mancano i mezzi per apprezzarle profondamente tutte, ma a sguazzare fra arte tribale rinascimentale medievale romana ittita naif azteca polinesiana novecentista ottocentesca bimillenaria c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Qual è l’ultima mostra che hai visitato? E che artista ti piacerebbe vedere dal vivo / conoscere?

– Sono molto concentrato sul lavoro e vivo in un luogo che offre poco dal punto di vista espositivo. Quindi niente mostre da molto tempo.

Più che uno in particolare, mi piacerebbe un prototipo di artista da conoscere: prima di tutto dotato di un ego accettabile, quindi poco. Conseguenzialmente, che conosca se stesso a sufficienza da evitare di parlare di Arte, in quanto essa è solo il risultato finale e meno interessante di un processo chiamato vita. Che mi renda quindi partecipe delle linee guida della sua esistenza. Il focus su cui basa il proprio presunto agire. Mi farebbe capire dove sono, cosa e quanto devo ancora imparare. Parlare di Arte questo risultato non me lo produce.

Cosa fa Antonio Murgia quando non lavora alle sue opere?