Al di là del mare – un colloquio con Ciro Palumbo

Come un marinaio imbarcato su un vascello dal vento in poppa, Palumbo scruta i paesaggi attorno a lui, restituendoci queste visioni mediate dalle sue molteplici sensazioni. Un vascello con un’anima tutta sua, capace come per magia di staccarsi dalla superficie dell’acqua, per volare sulle onde, per restituirci prospettive prima solo immaginate. Le sue tele sono un cannocchiale per scrutare oltre l’orizzonte del visibile: ci attendono così nuove dimensioni oltre quelle conosciute, dove le statue prendono vita, le barche e i pesci volano, le prospettive sono impossibili, gli edifici contengono universi, il greve diventa leggero e viceversa. Facciamoci raccontare qualcosa di più direttamente da lui:

– Un quadro è un capolinea: è un arrivo (per chi l’ha fatto) e una partenza (per chi lo guarda), diceva Salvo. Nei tuoi quadri questo è evidentissimo: ogni opera rimanda a un instante preso un viaggio immaginifico. A te piace viaggiare?

R: Molto. Anche se i più grandi viaggi li ho fatti in un metro quadro, quello davanti al mio cavalletto.

– Se potessi salpare su una nave domani mattina, dove andresti?

R: A cercar l’isola che non c’è. Mi piacerebbe partire e basta..

– Ogni fase del realizzare un’opera immagino crei sensazioni nell’artista diverse. Cosa ti piace di più? Iniziare o finire un quadro?

R: Credo di preferire la fase del concepimento, l’inizio, e tutto il percorso per arrivare. E’ pur vero che chiudere un quadro è giungere ad un traguardo, ma poi tutto ricomincia.

– Che cosa ti ha spinto a diventare un artista? E’ capitato o l’hai voluto?

R: L’ho sempre voluto, pur non sapendo bene cosa significasse. E poi ad un certo punto, comincio a fare il pittore. Essere Artisti è altra cosa ancora, c’è tanta strada da fare perché è uno stato dell’essere.

– In alcuni quadri si intravede una matrice simbolista. Quanto è importante per te il simbolo come riferimento?

R: Il simbolo è la sintesi massima dei significati delle cose e degli avvenimenti, in esso c’è il rimando ad altro, al mistero e si celano le vie da percorrere per giungere alla verità.

– La tela bianca è un soggetto ricorrente nelle tue opere. Puoi spiegarci qualcosa a riguardo?

R: Un atto da psicoanalisi. La tela rappresenta il mio lavoro, quello del pittore, è una mia presenza o in alcuni casi è la presenza della “pittura” come condizione umana.

–  Come immagini un museo, uno spazio espositivo, una galleria d’arte, tra 100 anni?

R: Esisteranno ancora? Nel frattempo consiglio di andar per mostre.

– Se potessi incontrare un grande artista del passato e prenderci un caffè insieme chi sceglieresti?

R: Mi toccherebbe pagare il caffè ad un centinaio di persone, ma forse per ringraziarli, ruberei del tempo a Savinio e Giorgio de Chirico.

– Hai una tua collezione privata d’arte?

R: Al momento no, ma ho piccoli ricordi di amici.

– C’è un’opera che hai realizzato negli anni a cui sei particolarmente legato?

R: Sono diverse, perché diverse sono le esperienze che le hanno concepite.

– Quali sono le prossime mostre che hai in programma?

R: Ci sono molti progetti. Al momento c’è la personale alla galleria Biffi di Piacenza curata da Alessandra Redaelli intitolata “Lo Spirito e la carne”, tutta dedicata al “cuore” come stato emozionale, come anelito allo spirito divino e il suo contraddittorio. Una mostra che è un esperimento ed una ricerca su soggetto e tecniche. Poi ci sarà un grande evento i primi di Ottobre alla Pinacoteca di Bari, la mostra raccoglierà il lavoro di questi ultimi tre anni con gli inediti sul ciclo del viaggio che è il tema su cui mi sono concentrato di più in quest’anno giubilare. Molto interessante sarà il catalogo che raccoglierà oltre all’approfondimento critico della Redaelli, una piccola raccolta di poesie inedite del poeta e scrittore Aldo Nove. Operazione in accordo con Art’è avendo in comune lo scopo di unire parole ed immagini, dipinti e letteratura, pittura e poeti.
La stagione mi vedrà in collettive in terra di Sicilia, a Roma e poi ancora…