Arte è Kaos raddoppia!

Arte è Kaos si fa in due! Abbiamo raddoppiato i nostri spazi per offrirvi tante novità: nuove opere, nuovi artisti, nuovi eventi.. Ma soprattutto uno spazio espositivo completamente nuovo, con un doppio affaccio sul Budello di Alassio.

Un luogo dove poter esporre al meglio i nostri artisti e dove poter organizzare sempre più mostre personali e collettive. Passate a trovarci!

Antonio Ligabue a Genova: il colore dell’irrequietezza

Una mostra a Genova, al Palazzo Ducale, raccoglie fino al 1 luglio 2018 la duplice produzione dell’artista:  autoritratti e animali raccontati in 80 opere tra tele, disegni e sculture. 

Quando si parla di Antonio Ligabue la parola naïf è l’aggettivo che capita subito a tiro per descrivere la sua produzione. Se è vero che le affinità sono evidenti in ogni sua opera (soprattutto nella componente autodidatta), la pittura di Ligabue è tutt’altro che “leggera” e “ingenua”. Ogni lavoro è infatti pervaso da un graffiante senso di drammaticità, di ricerca e di studio, che si stia osservando una tigre in una giungla ostile o un decisamente meno esotico scoiattolo, oppure uno dei suoi tanti, profondi e sofferenti autoritratti. E’ proprio il gran numero di queste opere (circa un centinaio)  che fa pensare alla dimensione di ricerca interiore del pittore: una produzione da cui emerge una profonda tensione emotiva e uno sguardo indagatore, verso il proprio io sofferente e martoriato, così come il suo volto. Un movimento dell’anima dal dinamismo feroce in contrapposizione all’apparente staticità e serialità della posa e dello sguardo. Qualche particolare cambia da un autoritratto all’altro (un cappello, i colori, il paesaggio), ma lo sguardo, angosciato,  rimane sempre lo stesso: gli occhi imploranti di chi cerca di scavare dentro di sè per capire cosa non funziona, una lucida presa di coscienza sul proprio malessere interiore, un grido di aiuto urlato col colore. 

La ricerca quasi psicologica dei suoi autoritratti fa da contrappunto con la conoscenza anatomica sviluppata attraverso lo studio degli animali che dipingeva: tigri, aquile, leoni, scoiattoli, gatti, ragni, serpenti.. La natura lo affascinava, e forse lungo i suoi interminabili vagabondaggi lungo le rive del fiume la sua immaginazione veniva incendiata da immagini esotiche e incontri con bestie nella vegetazione. E’ presente infatti una sorta di effetto sorpresa, di agguato, di tensione, di incontro tra predatore e preda, e anche quando il protagonista animale del quadro è solo, esso sembra all’erta, in agguato, con i sensi che gli comunicano che il pericolo è imminente, che il predatore è vicino.

L’irrequietezza di Antonio Ligabue  attraversa la totalità della sua produzione. Figlio di padre ignoto, nasce nel 1899 a Zurigo e viene affidato ancora infante a un’altra famiglia con cui non legherà mai, passando l’adolescenza in condizioni di indigenza e di malessere emotivo. Nonostante fin dalla giovinezza emergessero le sue doti di disegnatore, il suo comportamento turbolento lo allontana dalle istituzioni scolastiche e nel 1919 viene espulso dalla Svizzera. Approda in Emilia-Romagna, a Gualtieri, senza sapere una parola di italiano. Si dedica alla pittura e ai vagabondaggi senza meta lungo le rive del Po. L’incontro con Mazzacurati nel 1928 fa sbocciare il suo talento artistico, ma gli anni della maturità sono dominati dall’instabilità emotiva che lo accompagnerà per tutta la vita, con crisi maniaco-depressive, episodi di violenza e ricoveri in ospedali psichiatrici. I critici e i giornalisti si interessano alla sua opera a partire dalla fine degli anni ’40 e nel 1961 viene allestita la sua prima personale a Roma.  Muore nel 1965: nel suo paese lo conoscevano come Al Matt, “il Matto”.

 

Il Salvator Mundi: un Leonardo da Record.. con qualche riserva

Leonardo, si sa, ci ha sempre fatto sognare. Basta pronunciare il suo nome per cogliere quella potente aura di bellezza, grandezza e mistero che circonda i grandi artisti della storia.  Considerato una delle menti più brillanti e versatili dell’umanità, è stato un lungimirante e visionario ingegnere, un infaticabile e scrupoloso scienziato, un raffinato e moderno pittore, (oltre che musicista, poeta, scenografo) contribuendo a portare alla massima espressione il Rinascimento italiano.

All’interno della sua sconfinata e geniale produzione, pochi sono i dipinti sopravvissuti alla prova del tempo e che attraversando i secoli sono giunti fino a noi: circa una ventina, tra cui alcuni tutt’ora dalla dubbia autenticazione. Tra tutti, in questi giorni, spicca sicuramente il Salvator Mundi: un’ opera destinata a far parlare di sè ancora per molto. Battuto all’asta da Christie’s per 410 milioni di dollari (450 con i diritti d’asta) è il quadro più pagato di sempre, stracciando i record precedenti di Gauguin e De Kooning (300 milioni entrambi).  Il quadro volerà negli Emirati, e sarà esposto al museo Louvre di Abu Dhabi e lì rimarrà in esposizione permanente. Ma non è solo per l’aggiudicazione da capogiro (qui il video dell’asta)  che si parla del Salvator Mundi: rimangono ancora diversi dubbi sulla sua autenticità, come per diverse altre opere attribuite al grande maestro (La Madonna dei Fusi o Bacco, ad esempio).

La storia di questo piccolo olio su tavola, datato 1493 circa (66 x 46 cm, dimensioni paragonabili a quelle della Gioconda) si perde in quella delle sue numerose copie: significativa quella del 1650 a opera di Wenceslaus Hollar, copiata quando il dipinto si trovava nella collezione di Carlo I d’Inghilterra, il quale aveva acquistato l’opera in Italia. Alla morte del re le sue collezioni vengono disperse e il quadro passa di mano in mano attribuito ai seguaci della scuola leonardiana (c’è chi cita Bernardino Luini, chi Francesco Melzi). La sua prima asta non è particolarmente entuasiasmante: nel 1958 Sotheby’s lo batte per 50 dollari, mentre nel 2002 un uomo d’affari statunitense lo acquista sempre in asta per circa 7500 sterline. Dopo un restauro che ha visto la rimozione di molti strati di pittura aggiunta nei secoli (pesante la ridipintura seicentesca che aveva mascolinizzato la capigliatura e aggiunto i baffi “alla gatto”, di moda in quel periodo), l’impianto originale è riemerso così come la sua attribuzione da parte di critici e studiosi di fama internazionale. Per gli esperti convocati per esaminarlo alla National Gallery nel 2010, dov’era  stato in mostra, si tratta di un opera di Leonardo.

Tuttavia, non tutti i pareri si sono dimostrati favorevoli. Carlo Pedretti o Walter Isaacson, ad esempio, si sono dimostrati scettici. Il primo parla di “sofisticato affare di marketing” che punta a rilanciare un’opera che “basta guardare” per avere dei dubbi, il secondo indaga la composizione dell’opera e si concentra sulla sfera che Cristo tiene in mano. Secondo Isaacson è impensabile che un uomo di straordinaria cultura come Leonardo non abbia riprodotto dei particolari importanti sul globo che tiene in mano, trattando la sfera come se fosse una bolla di vetro vuota priva dei riflessi e delle distorsioni che dovrebbe naturalmente riprodurre la sua superficie. Un’ “anomalia sconvolgente”, soprattutto considerato il fatto che Leonardo in quel periodo era alle prese con studi sulla luce e sull’ottica.

Il Salvator Mundi è un Cristo benevolo, non giudicante, che benedice e protegge con la mano destra e che con la sinistra fa dono di tutto il Cielo, della vita eterna, simboleggiata dalla sfera vuota. E’ un Messia, ma non è un Re: la sua presenza è fraterna e pacataportatore di un’umanità che trascende la Chiesa, non chiede di essere adorato su un trono. La pietra che ha sul petto all’altezza del cuore è un rubino, una pietra utilizzata nel matrimonio, simbolo di amore, anche passionale. Una perla invece ferma i due risvolti dell’abito, poco sotto: è un simbolo femminile e delicato. La presenza del rubino e della perla sembra suggerirci una compresenza tra maschile e femminile tipica della produzione leonardesca, oltre a un’ ambiguità sessuale che possiamo trovare anche ad esempio nella Gioconda, ma soprattutto suggerisce un amore universale e spirituale, che trascende i sessi. E’ un’opera dall’apparente semplicità, ma che si fa sicuramente carico di una serie di valori importanti e straordinariamente attuali, oltre al mistero che riguarda la sua attribuzione. E pur vero che Leonardo era profondamente geloso della sua solitudine, e non si circondava volentieri di proseliti. L’opera potrebbe essere una delle copie attribuite alla sua scuola postuma, ma l’aura misteriosa  e allo stesso tempo benevola e a suo modo rivoluzionaria porta con sé l’impronta del genio.

Tra ordine e caos: intervista ad Antonio Murgia

Grande figurativista, Antonio Murgia è un artista diretto come la sua pittura. Una pittura immediata e potente, dalle tinte forti e dal gesto poliedrico. Abbiamo il piacere di ospitare le sue opere in galleria da quest’estate: con l’ultimo nostro incontro si è creata l’occasione per scambiare qualche parola e toccare diversi argomenti interessanti. Buona lettura!

– Antonio, seguendo la tua produzione da diverso tempo sembra che tu nasca come pop-artist, mentre negli ultimi anni ho notato uno spostamento verso un figurativo ritrattistico dal forte impatto emozionale. Ci racconti qualcosa a riguardo?

– A modo suo, sempre di Pop Art si tratta. O meglio, vi sono delle specifiche per far rientrare la mia pittura  anche in ambito Pop, magari derivativa. Esempio: le modelle che scelgo provengono quasi sempre da internet, cioè il veicolo che più di tutti incarna oggi una sorta di inconscio collettivo popolare. Manca solo l’effetto “popolarità”. Oppure inserisco, a mo’ di collage oggetti, immagini, carte di derivazione popolare di uso altamente comune. O ancora la tavolozza dal forte impatto cromatico, esagerato sovente, che, oltre che dalla predominante richiesta emozionale, sempre ad un immaginario effettistico popolare si rifà. Cioè, colori non come tavolozza personale (che poi comunque lo è), bensì anche come richiamo di un’esagerazione Pop. Non sento inoltre l’esigenza di lavare le mutande interiori in pubblico, come certa Arte ama fare. Anche questa è attitudine Pop.

Non amo “scavare” fra le pieghe del Sé (come invece altamente in uso in certe fazioni dell’Arte), primo perché forse un Sé non c’è. E già solo sapendo questo, si metterebbe fine a molte questioni artistiche. Secondo perché so per esperienza che scavare senza conoscere mezzi e finalità dello scavare, non rimane altro che scavare scavare scavare scavare scavare scavare senza giungere da alcuna reale parte. Rimane solo il senso di appartenenza allo scavare. Io non scavo. Fornisco solo piccoli attrezzi per far emergere.

Che rapporto hai con la tua terra di origine, la Sardegna? 

– Ci sono nato. Ci sono ritor-nato. Per motivi affettivi personali. Ma in certo qual modo mi ha portato ad una ri-nascita. Nel bene e nel male, ritornare mi ha fatto vedere alcune caratteristiche di sardità che non pensavo fossero caratteristiche di regione bensì personali; ed invece… Attrazione-repulsione rende?

– Negli ultimi anni sembra che l’arte figurativa stia, a livello di mercato, trovando una “rimonta” rispetto  all’astratto. Qual è il tuo rapporto con l’informale? E’ possibile far convivere i due generi in una produzione pittorica unica?

– Considerato che i miei quadri sono il risultato di un incastro di sezioni di pittura astratta fino a ricomporre la visione figurativa, almeno dal mio punto operativo la risposta è data. Se ammettiamo, mica tanto casualmente, che l’astratto lo possiamo paragonare al femminile e il figurativo al maschile, va da sé che la società stessa si palleggia fra momenti femminei e momenti mascolini. Quindi, in certi momenti e/o situazioni siamo comprensivi, in altri siamo reattivi, poco disposti ad accondiscendere. Il mercato si comporta allo stesso modo. In certi periodi vince la via dell’astrazione, dell’emozione; altre volte vince la via della concretezza della visione di sé. Altre volte ancora le due anime vanno a braccetto. Non è certo solo una questione di mercato (ancorché manovrato), bensì di normale fluttuazione di gusti (ancorché eterodiretti). In realtà, vi sono moltissimi artisti, in tutto il mondo, che stanno praticando la via di fusione fra figurativo e astratto. Chi parte da un’aspetto di destrutturazione della figura, chi fa il percorso inverso (come nel mio “OROS Project”), altri tentano la via della coesistenza, più o meno forzosa o armonica (come nella mia nuova serie “Juxtaposition”).

 Chi sono i tuoi padri spirituali? Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato?

– Tanti e nessuno in particolare. Padri non ce ne sono, ma patrigni tanti. Essendo in continua mutazione, rubo un po’ a destra e un po’ a manca.

Hai all’attivo diverse esibizioni in Oriente (Shanghai, Pechino): che tipo di sensibilità ha il mercato d’arte orientale contemporaneo? Rispetto all’ Europa?

– Esibizioni tante, rimasto quasi niente. I cinesi sono nazionalisti e neo ricchi: se non appartieni alla lista dei super-artisti, da te vogliono quasi niente. Però i complimenti li sprecano. Su certe cose (ancora per poco) fanno quasi tenerezza, per quanto sono”virginali”. Su altre, ci hanno superato a tale velocità che non ho idea di quando solo tenderemo a pensare di riprenderli. Terra e mentalità di grandi contraddizioni, almeno rispetto al nostro modo di concepire. Un’altra forma di “America”.

Che consiglio ti sentiresti di dare a un giovane che si avvicina al mondo dell’arte per intraprendere la carriera d’artista?

– Ahiiaa. La stessa che si è data nei secoli. Il mondo non ti aspetta; non aspetta il tuo “genio”; non aspetta le tue turbe. Te ne sei accorto? Bene. Perché se non te ne sei accorto, son cavoli tuoi. Penserai sempre che che il mondo non è adatto per te, non ti comprende ecc… Appena ti riesce, riduci le masturbazioni mentali al minimo e concentrati su chi sei, non su chi vorresti essere o come dovrebbe essere (in quel momento hai già fatto un enorme passo avanti), e le cose avverranno quasi naturalmente, senza troppi sforzi. Se invece senti che diventerai un grande artista… Auguri.

Qual è il ricordo nella tua carriera di artista al quale sei maggiormente legato?

– Tendenzialmente rimango legato al periodo che sto vivendo. Per cui, per ora è l’adesso. Presumibilmente, per domani potrà essere domani.

C’è un’opera storica che avresti voluto fare tu? C’è un periodo della storia dell’arte che ti piace particolarmente, che senti più vicino alla tua sensibilità?

– Per le opere (sono molte quelle che avrei voluto fare, anzi tantissime, forse un’infinità) quante pagine mi dai a disposizione? Per il periodo: tutto, o quasi, ciò che intercorre fra le pitture delle caverne e tante di quelle cose che stanno avvenendo ora, a prescindere da civiltà e cultura. Non è detto che mi debba piacere necessariamente il ’prodotto’. Ma lo spirito che lo incarna certamente sì. Ogni periodo, anche il più disastrato o derivato, possiede una sua peculiarità, una sua necessità d’esistenza. Vi sono stati dei periodi di maggiore impatto culturale (e li conosciamo tutti), ma questo è relativo alla società che ha albergato tale periodo. Tanto più è ricca e tanto più avrà avuto modo di influenzare altre società. Ma questo non vuol dire che le culture cosiddette “inferiori” non abbiano prodotto arte e cultura di qualità notevole. Forse mi mancano i mezzi per apprezzarle profondamente tutte, ma a sguazzare fra arte tribale rinascimentale medievale romana ittita naif azteca polinesiana novecentista ottocentesca bimillenaria c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Qual è l’ultima mostra che hai visitato? E che artista ti piacerebbe vedere dal vivo / conoscere?

– Sono molto concentrato sul lavoro e vivo in un luogo che offre poco dal punto di vista espositivo. Quindi niente mostre da molto tempo.

Più che uno in particolare, mi piacerebbe un prototipo di artista da conoscere: prima di tutto dotato di un ego accettabile, quindi poco. Conseguenzialmente, che conosca se stesso a sufficienza da evitare di parlare di Arte, in quanto essa è solo il risultato finale e meno interessante di un processo chiamato vita. Che mi renda quindi partecipe delle linee guida della sua esistenza. Il focus su cui basa il proprio presunto agire. Mi farebbe capire dove sono, cosa e quanto devo ancora imparare. Parlare di Arte questo risultato non me lo produce.

Cosa fa Antonio Murgia quando non lavora alle sue opere?

Presentazione del libro “Pura Pittura” di Pier Tancredi De Coll’

Sabato 22 luglio abbiamo avuto il piacere di ospitare in galleria la presentazione di “Pura Pittura”, di Pier Tancredi De Coll‘. L’artista ha presentato il suo libro con la partecipazione di Federico Audisio Di Somma, autore dei testi, e Paola Gribaudo, curatrice del volume. E’ stata inoltre allestita una personale con le opere di De Coll’, creando la cornice perfetta alla presentazione del libro. L’evento è stato a cura di Alberto Marinelli, art director di Arte è Kaos.

Il libro raccoglie il percorso artistico di De Coll’ partendo dal suo passato come disegnatore sportivo fino alla produzione pittorica degli ultimi anni. Pier Tancredi De-Coll’, che ha mosso i primi passi presso lo studio del pittore torinese Serafino “Sergi” Geninetti, ha esordito come vignettista per i quotidiani Stampa Sera (1982-1995) e La Stampa (1984-1995).In questa veste è stato inserito tra i maggiori rappresentanti della grafica sportiva nazionale nella mostra “HumorCalcio”- 1993. Con lo scrittore Federico Audisio di Somma (premio Bancarella 2002 con il romanzo “L’uomo che curava con i fiori”) ha realizzato i volumi di disegni e poesie “Il Jazz del torello verde”(1984) e “Femmes, Donne Elettriche” (1986) quest’ultimo con la prefazione di Gianni Versace. Conta innumerevoli collaborazioni per la realizzazione di copertine di libri e manifesti con diversi artisti e associazioni torinesi. E’ stato tra i premiati del concorso ” Sunday Painters 2015″ svoltosi in occasione della Fiera Internazionale di Arte Contemporanea Artissima di Torino. Primo premio della Giuria alla Mostra Internazionale Artes 2016.


Un weekend a regola d’Arte

Avete due giorni liberi dal lavoro? Volete dedicare un weekend all’arte e ricaricarvi  facendo il pieno di colori? Vedere una bella mostra è un’esperienza appagante e multi-sensoriale: dedicare a questo scopo un paio di giorni ci sembra un’ottima idea per fare il pieno di emozioni. Abbiamo selezionato alcune tra le mostre più interessanti in tre città: Milano, Torino e Genova. Vediamo insieme cosa hanno da offrire questi luoghi per partire alla volta di un mini-tour d’arte. Buon viaggio!

MILANO:

 

Kandinskij, il cavaliere errante: dal 15 marzo al 9 luglio al Mudec – 

L’esposizione, a cura di Silvia Burini e Ada Masoero, vuole omaggiare l’artista russo attraverso una rassegna incentrata sullarelazione tra arte e scienza e sulla metafora del viaggio come avventura cognitiva. Una raccolta di opere provenienti dai più importanti musei russi, di cui alcune mai viste prima nel nostro paese, presenta il percorso di formazione estetica di Kandinskij, con l’obiettivo di consegnare allo spettatore una chiave di lettura per il suo codice simbolico. Un viaggio graduale verso l’astrazionee attraverso una pittura che vuole essere immersiva: come scriveva lo stesso pittore “per anni ho cercato di ottenere che gli spettatori passeggiassero nei miei quadri: volevo costringerli a dimenticarsi, a sparire addirittura lì dentro.

Keith haring Tree of Life, 1985 Acrilico su tela 152,5 x 152,5 cm Collezione privata © Keith Haring Foundation

Keith Haring (“About art”): dal 21 febbraio 18 giugno 2017 a Palazzo Reale

Una delle prime grandi mostre a Palazzo Reale a Milano è l’esposizione Keith Haring  – About Art, che presenta 110 opere, molte di dimensioni monumentali, alcune delle quali inedite o mai esposte in Italia. La rassegna ruota attorno a un nuovo assunto critico: la lettura retrospettiva dell’opera di Haring  vista anche alla luce della storia delle arti che egli ha compreso e collocato al centro del suo lavoro, assimilandola fino a integrarla esplicitamente nei suoi dipinti e costruendo in questo modo la parte più significativa della sua ricerca estetica. Le opere dell’artista americano si affiancano a quelle di autori di epoche diverse, a cui Haring si è ispirato e che ha reinterpretato con il suo stile unico e inconfondibile, in una sintesi narrativa di archetipi della tradizione classica, di arte tribale ed etnografica, di immaginario gotico o di cartoonism, di linguaggi del suo secolo e di escursioni nel futuro con l’impiego del computer in alcune sue ultime sperimentazioni. Nonostante la sua morte prematura, l’immaginario di Haring è diventato un linguaggio visuale universalmente riconosciuto del XX secolo. Le sue opere fanno ricorso a uno stile immediato e festivo e sono popolate da personaggi stilizzati e bidimensionali, quali bambini, cani, angeli, mostri, televisori, computer, figure di cartoon e piramidi; iconico, in tal senso, è l’utilizzo di colori molto vividi e accattivanti che ricordano quelli usati dalla grafica pubblicitaria, e l’adozione di una spessa linea di contorno ridotta all’essenziale che circoscrive le anzidette figure.

TORINO:

© Giorgio Perottino

L’emozione dei COLORI nell’arte:
Klee, Kandinsky, Munch, Matisse, Delaunay, Warhol, Fontana, Boetti, Paolini, Hirst… – da 14 Marzo 2017 a 23 Luglio 2017 alla GAM e al Castello di Rivoli

La mostra L’emozione dei COLORI nell’arte è presentata nella Manica Lunga del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e nelle sale della GAMGalleria Civica d’Arte Moderna e Contemporaneadi Torino, con l’esposizione di una straordinaria raccolta di 400 opere d’arte realizzate da oltre 130 artisti provenienti da tutto il mondo che datano dalla fine del Settecento al presente. La mostra collettiva ripercorre la storia, le invenzioni, l’esperienza e l’uso del colore nell’arte. Attraverso una molteplicità di racconti e presentazioni di opere d’arte importanti, si affronta l’uso del colore da svariati punti di vista, tra i quali quello filosofico, biologico, quello antropologico e quello neuroscientifico. La mostra indaga l’utilizzo del colore nell’arte dando conto di movimenti e ricerche artistiche che si discostano dalle storie canoniche sul colore e l’astrazione, attraverso molteplici narrazioni che si ricollegano alla memoria, alla spiritualità, alla politica, alla psicologia e alla sinestesia.
Nel corso della mostra, il neuroscienziato Vittorio Gallese – che insieme a Giacomo Rizzolati ha scoperto i neuroni specchio – dirigerà, per la prima volta a livello mondiale, un laboratorio di studio neuroscientifico incentrato sull’esperienza del pubblico di fronte a opere d’arte.

 

Bruno Munari – Artista Totale – dal 16 febbraio all’ 11 giugno 2017 al MEF

La mostra documenta la poliedrica attività creativa di Bruno Munari (Milano, 1907-1998), uno dei personaggi più significativi della cultura artistica internazionale del XX secolo. Il percorso espositivo pone in evidenza la sua multiforme ricerca e l’originalità della sua sperimentazione offrendo alla fruizione del pubblico l’ampio arco delle sue operazioni creative (disegni, progetti, collage, dipinti, sculture, libri illeggibili, nuove tecniche di riproduzione delle immagini, oggetti di industrial design, esperienze di grafica editoriale, architettura, nonché nuove proposte di pedagogia), solo per indicare le discipline più rappresentative all’interno del suo progetto di sintesi delle arti.

Caravaggio Experience – Dal 18 marzo al 1° ottobre 2017 – Reggia di Venaria

Imponente video installazione originale, Caravaggio Experience propone l’opera del celebre artista Michelangelo Merisi utilizzando un approccio contemporaneo: l’uso di un sofisticato sistema di multi-proiezione a grandissime dimensioni, combinato con musiche suggestive e fragranze olfattive, porta il visitatore a vivere un’esperienza unica anche sul piano sensoriale, attraverso una vera e propria “immersione” personale nell’arte del maestro del Seicento.

Nei grandiosi spazi architettonici della Citroniera Juvarriana della Reggia di Venaria, il visitatore resta “coinvolto” in uno spettacolo di proiezioni e musiche della durata complessiva di 50 minuti circa, in funzione contemporaneamente lungo tutto il percorso, senza interruzioni e a ciclo continuo, in cui sono evocate 58 opere del grande pittore.

L’installazione ripercorre i temi dell’intera produzione caravaggesca: la luce, il naturalismo, la teatralità, la violenza; e termina con un “viaggio” ideale attraverso i luoghi di Caravaggio, seguendo cronologicamente le fasi principali della sua incredibile esperienza di vita.

GENOVA:

Modigliani:  dal 16 marzo al 16 luglio 2017 – Palazzo Ducale

La mostra, allestita nell’appartamento del Doge di Palazzo Ducale, si propone di illustrare il percorso creativo di Amedeo Modigliani affrontando le principali componenti della sua carriera breve e feconda.Attraverso una trentina di dipinti provenienti da importanti musei come il Musée de l’Orangerie e il Musée National Picasso di Parigi, il Koninklijk Museum voor Schone Kunsten di Anversa, il Fitzwilliam Museum di Cambridge, la Pinacoteca di Brera e da prestigiose collezioni europee e americane, oltre ad altrettanti disegni, l’esposizione intende mettere in risalto il grande valore della sua ricerca in quel clima assolutamente unico creatosi nella Parigi d’inizio Novecento.

Modigliani testimonia infatti l’effervescenza dell’ambiente artistico e culturale di quegli anni, dove convivono e si incontrano grandi mecenati e mercanti come Paul Alexandre, Paul Guillaume e Léopold Zborowsky, accanto a scrittori come Max Jacob, Jean Cocteau, Guillaume Apollinaire, e ad artisti come Diego Rivera, Henri Laurens, Léopold Survage, Juan Gris, Pablo Picasso, protagonisti di un’irripetibile stagione di rinnovamento della pittura. La sua pittura è di una qualità estrema, introversa, introspettiva, concentrata soprattutto sul ritratto.I suoi modelli preferiti sono i colleghi pittori, i letterati e gli intellettuali, gli amici più intimi, le persone che condividono il suo mondo. Egli introduce per primo uno stretto rapporto psicologico con il soggetto che ritrae, per poi avviarsi progressivamente verso una purezza e una eleganza assolute: i volti tendono a una essenzialità formale fino ad allora mai vista.Oltre ai ritratti la mostra rivolge un’attenzione particolare anche ai celebri Nudi e ai disegni: il Nudo accovacciato di Anversa e il Nudo disteso (ritratto di Celine Howard) sono tra i capolavori che è possibile ammirare, oltre a una ricca esposizione di studi, disegni, acquarelli, tempere. Su tutti spiccano Le Cariatidi, figure di donne accovacciate con le bracce levate, dalle forme opulente e tondeggianti, ricche di rimandi all’arte primitiva, greca, etrusca, frutto di una profonda ricerca sulla bellezza ideale, in cui il sensuale si mischia allo ieratico, l’audace alla grazia, la dolcezza al mistero.

MEXICO. Mexico City. ProstituÈes. Calle Cuauhtemoctzin. 1934.

Henri Cartier-Bresson – 11 marzo all’11 giugno Palazzo Ducale

140 scatti di Henri Cartier Bresson, in mostra a Palazzo Ducale, per immergerci nel suo mondo, per scoprire il carico di ricchezza di ogni sua immagine, testimonianza di un uomo consapevole, dal lucido pensiero, verso la realtà storica e sociologica.
Per Cartier Bresson la tecnica rappresenta solo un mezzo che non deve prevaricare e sconvolgere l’esperienza iniziale, reale momento in cui si decide il significato e la qualità di un’opera.
“Per me, la macchina fotografica è come un block notes, uno strumento a supporto dell’intuito e della spontaneità, il padrone del momento che, in termini visivi, domanda e decide nello stesso tempo. Per “dare un senso” al mondo, bisogna sentirsi coinvolti in ciò che si inquadra nel mirino. Tale atteggiamento richiede concentrazione, disciplina mentale, sensibilità e un senso della geometria. Solo tramite un utilizzo minimale dei mezzi si può arrivare alla semplicità di espressione”.

I suoi scatti colgono la contemporaneità delle cose e della vita. Le sue fotografie testimoniano la nitidezza e la precisione della sua percezione e l’ordine delle forme.
“Fotografare, è riconoscere un fatto nello stesso attimo ed in una frazione di secondo e organizzare con rigore le forme percepite visivamente che esprimono questo fatto e lo significano. E’ mettere sulla stessa linea di mira la mente, lo sguardo e il cuore”.

The Art of the Brick . Nathan Sawaya a Milano

 

La mostra di Nathan Sawaya, ospitata dalla Fabbrica del Vapore, va assolutamente vista. Lasciate perdere le immagini che si trovano già online. Solo entrando in silenzio, davanti alle immani sculture di Nathan, riuscirete a ritrovare voi stessi. La scelta delle opere a primo acchito appare scolastica, ci riporta indietro ai banchi di scuola, ma i colori sono decisamente più accesi e il sentimento che si prova è misto di stupore e attrazione. Dalla riproduzione de L’urlo di Munch che squarcia la tela e occupa finalmente una realtà tridimensionale alle sperimentazioni che portano il visitatore a contatto con l’artista e la sua percezione della condizione umana, come “Yellow”.

Megastrutture, opere pazzesche, un milione di piccoli mattoncini, 85 installazioni. Questo giovane ex-avvocato newyorkese innesca in noi la voglia di giocare con colori, spazi e superfici, non si può far altro che innamorarsi di chi ha coraggio di dare spazio alle proprie idee, un mattoncino dopo l’altro. Di sicuro un artista che si deve conoscere a tu per tu con le sue creature che siano esse contenute in un museo, raccolte in una sua personale oppure nel giardino della Casa Bianca.

Tornando a Milano: molto bella l’idea di realizzare un’area gioco finito il percorso anche se forse è stata la parte più deludente, tolte alcune considerazioni da fare sull’illuminazione delle opere. La parte ludica è sì interattiva, ma sarebbe potuta diventare un’opera d’arte essa stessa, in continuità con il percorso, mentre si riduce ad un tavolo con sopra i mattoncini e a qualche videogioco in una stanza che spezza totalmente il pathos del percorso, illuminata a giorno come in un qualsiasi centro commerciale. Era forse da prestare più attenzione al progetto luminoso, non si trova il rapporto tra le figure di Nathan e le soluzioni tecniche adottate. Aver osato qualche luce colorata per esempio avrebbe giovato, cosa che viene accennata solo in una delle stanze presenti. Ma l’entusiasmo non si perde, Nathan vi conquisterà.

 

Un consiglio: tornando a casa tirate fuori una vecchia scatola di Lego oppure acquistatene una, sedetevi sul pavimento di casa vostra, rovesciate la scatola e lasciate che l’immaginazione faccia da padrona.

Valentina Cusato

Basquiat: dolore e celebrazione al MUDEC di Milano

“Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi all’alba per strade di negri in cerca di una siringata rabbiosa di droga.. “

Così scriveva nel suo poema Howl Allen Ginsberg, un grido psichedelico di rabbia e denuncia verso l’ipocrisia e il conformismo dell’America nella metà degli anni ’50. Meno di trent’anni dopo viene allestita la prima personale (a Modena,  nella galleria d’arte Emilio Mazzoli ) di un giovanissimo artista emergente che sembra aver incarnato in toto i versi di quel poema maledetto: Jean-Michel Basquiat.

E’ la fine degli anni ’70. Muore De ChiricoWarhol è all’apogeo della sua carriera, viene coniato il termine Transavanguardia, alla Biennale di Venezia viene lanciata la post-modern, New York sta vivendo un periodo di grandi cambiamenti politici, economico-sociali. Queste cose sono in qualche modo interconnesse tra loro, sta per cambiare qualcosa e il mercato dell’arte lo fiuta. La cultura underground, dei ghetto-blaster, dei graffiti, esce di prepotenza dagli scantinati e dalle metropolitane, dai vicoli malfamati e maleodoranti e approda nelle gallerie più importanti di Soho.

Versus Medici, 1982

Basquiat ha 20 anni, è giovane e incazzato,  vuole diventare famoso. Suona in una band, produce cartoline, t-shirt, collage, poesie sotto lo pseudonimo di SAMO (Same Old Shit). Dopo un periodo di iniziale indifferenza la cultura underground inizia ad accorgersi di lui. Vengono scritti articoli su questo giovane artista, i critici intuiscono qualcosa.   Grazie all’incontro e al sodalizio conAnnina Nosei nel 1981 arriva (forse, troppo presto) il successo.

Nello scantinato della Nosei dove vivrà fino all’anno successivo, Basquiat trova terreno fertile per far esplodere definitivamente il suo linguaggio creativo. Un neo-espressionismo viscerale, urlato, condito da elementi primitivi, parole cancellate e/o decostruite, colori acidi e forti dichiarano una rabbia esistenziale e di denuncia, ma anche una sensibilità fuori dal comune, un’esistenza tormentata, una personalità complessa ed esuberante. Un linguaggio personalissimo anima le sue tele, pronte per essere fagocitate da un meccanismo di un mercato d’arte drogato (e spietato) generato da enormi guadagni.

Zydeco, 1984

Nel biennio successivo Bruno Bishofberger diventa il suo agente al posto della Nosei e lo presenta a Warhol. Pubblica un disco di musica rap e fa il dj in diversi club di Manhattan, ha un flirt con MadonnaProduce opere a un ritmo forsennato, ispirato dalla televisione sempre accesa e sintonizzata su canali di cartoon, divora libri in continuazione alla costante ricerca di ispirazioni eterogenee e volutamente frammentarie. Nel 1984 inizia una collaborazione con Mary Boone,  Il New York Magazine punta i riflettori su di lui, iniziano a fioccare personali in tutto il mondo: Basquiat si ritrova le tasche piene di dollari, mentre l’apice del successo coinciderà con l’inizio del suo inesorabile declino. Abusa di ogni genere di droga, ha attacchi psicotici. La sua corona,marchio con il quale firma moltissime delle sue opere, sembra voler quasi esorcizzare la totale mancanza di controllo nella sua vita.

Andy Warhol, Mark Kostabi, Basquiat

La produzione artistica avanza, lavora instancabilmente nonostante la sua salute peggiori sempre di più. Le Collaborationscon Warhol e Francesco Clemente vengono guardate con circospezione dai mercanti (oggi del tutto rivalutate), tanto da far incrinare i rapporti tra Basquiat e il suo “padre adottivo” Andy Warhol. Tra il 1986 e il 1987 conosce un calo di apprezzamento da parte di pubblico e critica. Rompe con i suoi sostenitori e galleristi: è in totale balia della droga. Muore Warhol, Basquiat ne è scosso, continua a produrre lavori per mostre per l’anno successivo, ma è ormai schiavo dei suoi demoni. Nell’agosto del 1988, a soli 27 anni, Basquiat muore di overdose nel suo appartamento.

la mostra al MUDEC – Museo Delle Culture – Milano

La mostra del Mudec di Milano raccoglie più di 140  opere, che ricoprono il periodo dal 1980 al 1987. Provenienti prevalentemente dalla collezione privata di Yosef Mugrabi, le opere sono organizzate secondo sezioni legate ai vari studi dove Basquiat ha lavorato. Dalla strada al periodo modenese e la sua prima personale, al periodo del primo studio a New York, passando per gli studi di Crosby Street e Great Jones Street. Non manca una sezione dedicata alle Collaborations con Warhol, così come un’interessante proiezione video di un’intervista tratta dal documentario The Radiant Child.  Dalla mostra emergono tutta la potenza e la complessità di questo gigante dell’arte contemporanea. Il primo afroamericano a scalare i vertici di tutto il mondo ufficiale dell’arte, un personaggio fuori dagli schemi, a tratti infantile, a tratti esuberante e sofisticato; emergono i suoi mille riferimenti, dalla cultura pop americana, al jazz di Charlie Parker (suo idolo), alla storia “black” haitiana e nordamericana; emergono il non-sense e la sua cultura artistica non convenzionale, ma complessa e stratificata. I colori di Basquiat ti avvolgono e ti rimangono dentro per parecchio: una mostra consigliatissima, un’esperienza multisensoriale, una catapulta verso un limbo psichedelico, magico, colorato, irruente e  complesso quale è l’universo caleidoscopico dell’estetica di Jean- Michel Basquiat. 

MUDEC
Museo delle Culture
via Tortona 56, CAP 20144 Milano
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02 54917  |  info@mudec.it
Alberto Marinelli

SOS – Screaming On Silence – la nuova mostra collettiva di Arte è Kaos dal 23/12 all’ 8/1

Di fronte ad un quadro bisogna avere lo stesso atteggiamento che si ha al cospetto di un principe: aspettare senza sapere se ci parlerà e che cosa ci dirà. E come al principe, anche al quadro, non dobbiamo essere noi che rivolgiamo la parola: se lo facessimo udiremmo soltanto la nostra voce” Arthur Schopenhauer.

Ogni opera d’arte urla nel silenzio. Il silenzio di un museo, di una galleria d’arte, di una casa. Il silenzio di uno spazio che non ha niente da dire fino al momento in cui l’opera fa la sua comparsa. Il quadro non racconta, non sussurra, non parla: urla. Perchè le vere opere d’arte si fanno sentire a gran voce, non sono parole sussurrate ma frasi esternate con potenza e decisione: non si può non ascoltarle.

CONSTANTIN MIGLIORINI  – SENZA TITOLO – 120 X 130 – OLIO SU TELA

CIRO PALUMBO – LUOGHI – 50 X 50 – OLIO SU TELA

Ogni opera d’arte è un SOS, un messaggio nella bottiglia, una richiesta se non di aiuto di attenzione. L’artista lancia il suo messaggio nel mondo e al mondo. Un messaggio con mittente ma dal destinatario sconosciuto. Come una frase urlata dall’alto, da un aereo in stallo sopra le nuvole, o in mezzo al mare da una nave che affonda. Qualcuno ascolterà questo messaggio, trasmesso su una frequenza speciale, e non potrà ignorarlo.

CLAUDIO MASSUCCO – MEMENTO MORI – 100 X 70 – TECNICA MISTA SU ALLUMINIO 

Ogni opera d’arte urla sul silenzio, per contrastare il vuoto e il buio, l’assenza di emozione e di colore. Fa notare la sua presenza sviluppando nuove energie non solo in un ambiente ma anche nell’ animo di chi osserva. Ma il quadro continua a gridare la sua forza silenziosa anche quando nessuno è presente, anche quando nessuno lo ascolta. Testimone solitario di spettri emozionali che vengono accolti da chi sa ascoltare.

ANDREA TERENZIANI – NEL SILENZIO CHE LA CIRCONDA – 150 X 120 – RESINE SU TELA

 

“Il grido. Sta all’inizio della vita dell’uomo sulla terra. Il grido di caccia, di guerra, d’amore, di terrore, di gioia, di dolore, di morte. Ma anche gli animali gridano; e per l’uomo primitivo grida anche il vento e la terra, la nube e il mare, l’albero, la pietra, il fiume.”

 

IVANO PAROLINI – VELENO – 31 X 42 – TECNICA MISTA

Arte è Kaos è nel Budello di Alassio, la prestigiosa via dei negozi nel centro storico della città, al numero 100 di via V. Veneto. Dal 2006 sono stati numerosi gli eventi, le personali e le collettive organizzati in galleria e in diverse sedi nella Riviera Ligure, con un occhio sempre attento verso le avanguardie storiche del ‘900 insieme alle nuove proposte di giovani artisti contemporanei.

SOS – Screaming On Silence – Mostra collettiva – dal 23 dicembre 2016 all’8 gennaio 2017 presso lo spazio d’arte contemporanea Arte è Kaos – Alassio

Artisti presenti: Ciro Palumbo, Max Gasparini, Enrico Ingenito, Claudio Massucco, Ivano Parolini, Constantin Migliorini, Andrea Terenziani, Gianfranco Germiniasi, Paolo Dolzan, Pitti.

Catalogo: visualizza CATALOGO SOS in pdf – versione cartacea disponibile gratis in galleria

Orari: tutti i giorni dalle 9.30 alle 12.30, dalle 15.30 alle 19.30, chiuso il mercoledì e giovedì mattina

-Contatti / ufficio stampa –

Mail: arteekaos@gmail.com sito: www.arteekaosonline.comtelefono: 0182.020456

 

 

A Genova sbarca Pop Society: una grande retrospettiva su Andy Warhol

 

 

Genova – Nel febbraio del 1987 muore a New York per complicazioni dopo un’intervento chirurgico Andrew Warhola Jr, conosciuto come Andy Warhol, gigante della Pop art e tra gli artisti più influenti del XX secolo. Figlio di immigrati slovacchi, nato a Pittsburgh, in Pennsylvania il 6 agosto del 1928, Warhol si distingue fin da giovane per un talento improntato verso il disegno e la grafica. Dopo la laurea in arte pubblicitaria nel 1949 si trasferisce a New York per lavoro: il mito ha inizio.

La mostra “Pop Society” omaggia la figura di uno dei più importanti artisti del secolo scorso: colui che ha sdoganato definitivamente l’arte come fenomeno commerciale e di massa, creando icone e diventandone una esso stesso, aprendo (spalancando) definitivamente la porta dell’arte contemporanea, così come la intendiamo oggi.

“Le masse vogliono apparire anticonformiste: ciò significa che l’anticonformismo deve essere prodotto per le masse.”

Curata da Luca Beatrice, grande critico d’arte e curatore torinese, la mostra presenta circa 170 opere tra tele, stampe, disegni, polaroid, sculture, provenienti da musei, collezioni private e pubbliche, italiane e straniere. “Pop Society” si snoda attraverso un percorso tematico che si sviluppa attraverso sei linee conduttrici: le icone, i ritratti, i disegni, il rapporto di Warhol con l’Italia, le polaroid, la comunicazione e la pubblicità.

Le opere sono tante, la qualità è alta, l’allestimento è molto curato.
E ci sono proprio tutti: Marilyn, Mao, Man Ray, Mick Jagger, Agnelli, Armani, i Brillo Boxes, il Dollaro, Liza Minelli, Beuys.. e tanti, tanti altri. L’impressione è di trovarsi ad un party esclusivo e colorato, Ladies and Gentlemen, circondato dalle icone più importanti della seconda metà del secolo scorso. I lavori serigrafici rappresentano ovviamente la maggioranza delle opere esposte, ma l’esibizione copre l’intero arco della vita di Warhol, dai disegni degli anni ’40 (bellissimi per la loro capacità di sintesi e la forza anticipatoria e quasi profetica del periodo successivo della Factory) alle opere tardive degli anni’80 (un’ Ultima Cena realizzata in Italia poche settimane prima della sua morte).

“… Siamo stati in Italia, e tutti mi chiedono in continuazione se sono comunista perchè ho dipinto Mao. Perciò ora dipingo falci e martelli per il comunismo e teschi per il fascismo”.

 

Alzando gli occhi sopra le opere le citazioni di Warhol ti strappano qualche sorriso, per la loro irriverenza e la loro (apparente) semplicità. Interessante la parte dedicata al rapporto di Warhol con l’Italia (con i ritratti tra gli altri di Sandro Chia e Gianni Agnelli), mentre un’intera sezione è dedicata alle polaroid, oltre 90, con un intrigante allestimento  in una sala completamente affrescata. Inoltre, un video di Luca Beatrice racconta con sintesi esaustiva la vita di e le opere di Andy Warhol.

 

“Fare denaro è un’arte. Lavorare è un’arte. Un buon affare è il massimo di tutte le arti.”

 

L’arte deve essere consumata come un qualsiasi altro prodotto commerciale.
Sintetizzando all’estremo il pensiero di Warhol si può estrapolare questa frase, e “Pop Society” ci guida appunto all’interno di questa filosofia, con gusto e coerenza, facendoci scoprire o ribadendo ancora una volta la “profonda superficialità” di questo grandissimo artista.

 

“Non è forse la vita una serie d’immagini, che cambiano solo nel modo di ripetersi?